Con l’
incontro di oggi cercheremo di mettere a fuoco una realtà ancora poco conosciuta, perché non sufficientemente indagata: quella della violenza e dei maltrattamenti subiti dalle donne anziane. Subite in gran parte nell’ambito della dimensione domestica (è questo il dato che accomuna la gran parte delle donne vittime di violenza maschile, a qualsiasi età appartengano), ma anche nell’ambito delle strutture residenziali e di cura all’interno delle quali le donne, più numerose, spesso vivono in condizioni di isolamento e solitudine, quando non anche di vero e proprio abbandono.
Nonostante diverse indagini abbiano messo a tema il fenomeno della violenza e degli abusi sulle donne, la dimensione di quella subita dalle donne con più di settanta anni non emerge. C’è un vero e proprio preconcetto dell’età, la violenza sessuale sulle donne anziane è ancora un tabù. Lo stesso ISTAT non statistica la violenza subita da ultra settantenni, classificandola genericamente come abuso sugli anziani! Come se dopo i 70 anni il vissuto delle donne non abbia più alcuna importanza!
Per la prima volta, il fenomeno degli abusi, maltrattamenti e violenza agli anziani fu descritto su una rivista scientifica inglese negli anni ‘70: fu classificato come VIOLENZA CONTRO LE NONNE. Nonne, non anziani.
A significare che fu evidente che fossero le donne anziane ad essere maggiormente coinvolte in queste dinamiche coercitorie.
IL GENERE COME FATTORE DI RISCHIO ULTERIORE, oltre all’età.
Oggi, i dati sono ancora scarsi, nonostante il nostro paese sia fra i più vecchi al mondo, lo siamo in Europa. La componente femminile è la parte maggioritaria fra gli anziani, soprattutto fra i grandi anziani. Le donne vivono di più, ma non sempre meglio. È così anche nella nostra regione, nella quale la popolazione anziana che rappresenta il 24% dei residenti, è costituita in gran parte da donne.
Alcuni dati ci sono forniti dalla SOCIETÀ DI GERONTOLOGIA E GERIATRIA, una vera e propria mattanza!
• Sono 2800 le donne con più di 65 anni che hanno subito violenza sessuale;
• 25.000 le anziane abusate in RSA;
• il 30% dei femminicidi riguarda donne over 65;
• 60.000 sono state vittime di truffe finanziarie.
Il 77% delle donne sono uccise in famiglia, spesso luogo di conflitti più che di affetti.
Sono problemi che non possono assolutamente restare nella sfera privata delle persone, perché la violenza contro le donne è elemento strutturale della società e che, senza distinzione di classi sociali, purtroppo “Abita il mondo”!
La pandemia ha incrementato i casi di violenza, colpendo tutte le donne, non solo giovani. Il 2020 è stato l’anno peggiore, in termini percentuali. Sono calati gli altri reati, come certificato dal Ministero degli Interni, anche gli omicidi, ma non le uccisioni di donne in contesto familiare.
L’incidenza della componente femminile sul totale degli omicidi è stata del 40,6%, la più alta di sempre.
La condizione di isolamento determinata dalle misure di contenimento, penso anche l’interruzione di importanti servizi quali l’ADI, hanno aumentato la vulnerabilità delle donne costrette a vivere con il partner o un familiare maltrattante all’interno delle mura domestiche. O all’interno delle case di riposo e dei luoghi di cura: la sospensione degli accessi ai familiari, spesso unica misura di contenimento dal contagio, ha maggiormente isolato gli anziani, le donne, rendendole ancora più vulnerabili a maltrattamenti ed abusi, oltre che più silenziose ed invisibili.
Per una donna anziana, il maltrattante può essere un figlio, che esercita violenza psicologica, che non sempre degenera in violenza fisica e che utilizza il ricatto affettivo per abusare economicamente o umiliarla. O ancora, una badante o un badante, quando tradiscono l’aspettativa di fiducia delle anziane e anziani e abusano, trascurano, maltrattano.
Sono violenze psicologiche che non lasciano lividi sui corpi. Sono omicidi dell’anima, manipolazioni relazionali che umiliano, isolano, privano le anziane di tutti i punti di riferimento.
Anche la violenza sulle donne anziane è sintomo sociale di disuguaglianze e prevaricazioni, di possesso maschile. Ma non perché le donne anziane siano vulnerabili in sé, in quanto donne, come se fosse una difficoltà strutturale. No, la vulnerabilità dipende da ostacoli di carattere culturale, sociale ed economico che, di fatto, impediscono a molte donne, anche anziane, il godimento completo dei diritti fondamentali.
NON ESISTONO RELAZIONI SANE LADDOVE UNA DELLE PARTI RINUNCIA A SE’ STESSA E SCEGLIE DI FAR TACERE LA PRORIA VOCE.
La vulnerabilità economica determinata dalle basse pensioni percepite soprattutto dalle donne anziane, anche frutto della discontinuità di carriera. Il carico di cura che grava durante l’arco dell’intera vita delle donne e ne continua a rappresentare, per tante, una realtà ineludibile.
La cultura, impregnata di pregiudizi e stereotipi verso le donne. Anche quelli fondati sull’età, gli stereotipi di generazione presenti nella convivenza quotidiana: la vecchiaia intesa come fase di declino, soprattutto per le donne, nel loro aspetto fisico, tanto quanto l’immagine femminile giovane è rappresentata quale oggetto del desiderio sessuale maschile.
Pensiamo a come la pubblicità e in generale i mass media rappresentano le donne. La riproposizione stereotipata dei ruoli: la donna il cui luogo congeniale è la famiglia; l’uomo la protegge e ne garantisce il sostentamento.
La cultura che fa maturare ostilità verso gli anziani e che nasce dall’opinione che siano improduttivi, che dovrebbero lasciare il passo ai giovani. INVECE QUANTA PARTE ABBIAMO NEL SOSTENERE, ANCORA, LE FAMIGLIE DEI FIGLI ED I NIPOTI.
Attraverso modelli educativi alle donne viene trasmessa una immagine di sé quali persone deboli mentre agli uomini viene insegnato il ricorso alla forza fisica, anche nella gestione delle relazioni affettive. Siamo educate alla passività fin da piccole, all’accettazione del dominio da parte del padre, del marito/ partner, tanto da percepire da adulte una situazione di dominazione maschile come inevitabile.
E resiste la convinzione che le donne, ad una certa età, non siano più oggetto di abusi e violenze. Purtroppo non è così, la cronaca ci insegna che questi atti avvengono in luoghi pubblici, nelle RSA oltre che nell’ambito domestico.
Ma non tutti gli omicidi hanno dignità di notizia. Interessano i media quando le vittime sono molto giovani e l’episodio particolarmente efferato. Se la donna uccisa è anziana, soltanto 27 volte su cento il caso finisce sui giornali. È la narrazione è sempre la stessa: il delitto spacciato per passionale, un racconto che giustifica il carnefice, comunque buon padre di famiglia, un gran lavoratore, un uomo colto da raptus di gelosia. MA L’AMORE NON UCCIDE.
La donna viene vittimizzata o perché ha cercato di esercitare una scelta di autonomia o perché ha smesso di amare un uomo. Anche nei tribunali, quando riesce a denunciare.
Il linguaggio, andrebbe completamente ripensato, declinandolo anche al femminile. Dovremo accreditare una grammatica della parità, nelle istituzioni, nei mass media.
Bisognerebbe capovolgerla questa impalcatura culturale e pensare alle donne in tutto l’arco della loro vita. Serve un cambio di passo, sostenere le donne anche quando, da anziane, vivono nel silenzio le violenze subite.
Ma come raggiungerle? Chi può vedere le ferite dell’anima oltre che quelle dei corpi? Chi può curare la rassegnazione e farle uscire dall’isolamento e dal silenzio, perché le donne anziane raramente chiedono aiuto, superare quella che sembra una vera e propria resa?
La violenza sulle donne anziane deve essere riconosciuta, dobbiamo volerla indagare con ricerche specifiche. Dettagliare azioni e interventi nei PIANI DI PREVENZIONE E CONTRASTO ALLA VIOLENZA DI GENERE, quelli adottati a livello nazionale e regionale (quello vigente è il 2017/2020), sia nell’area della prevenzione che del sostegno, rafforzando le sinergie multisettoriali che, sui territori, diano maggiore impulso di intervento alle strutture sociali, sanitarie e del privato sociale qualificato.
I CAV sono elementi cardine del sistema di contrasto alla violenza contro le donne. Credo sia necessario rafforzare ulteriormente questa rete locale di protezione, orientando progetti finalizzati alla specifica dimensione delle donne anziane che subiscono violenza.
È strategico il ruolo dei medici di medicina generale, dei geriatri, delle figure socio sanitarie (gli operatori che entrano nelle case degli anziani per servizi quali Adi e Sad) delle equipe di intervento di primo e secondo livello, consultori familiari compresi. E perché no delle nuove figure degli infermieri di famiglia o di comunità e delle USCA, le unità di continuità assistenziale che vanno integrate dalle figure dell’assistente sociale e che noi vorremo sui territori anche oltre la fase pandemica, per garantire gli interventi domiciliari sulle cronicità.
Vanno intrapresi percorsi di sensibilizzazione e di formazione specifica, che consentano di riconoscere gli indicatori di queste violenze. Un percorso di formazione alla stregua di quello che Regione Puglia ha messo in campo per il contrasto delle violenze e maltrattamenti sui minori. Introdurre azioni specifiche per raggiungere le donne anziane che subiscono violenza e maltrattamenti all’interno delle RSA. Noi pensionati abbiamo proposto la costituzione di OSSERVATORI PROVINCIALI sulle RSA, per aprire quei luoghi alle dimensioni territoriali, alle rappresentanze sindacali, al volontariato.
E poi, rafforzare il contrasto alla violenza di genere verso le donne anziane attraverso l’applicazione della legge regionale SULL’INVECCHIAMENTO ATTIVO E IN BUONA SALUTE, proposta dai sindacati con la raccolta di oltre trentamila firme di cittadine e cittadini pugliesi. Nel piano di attuazione, dovranno essere definiti percorsi di formazione e riqualificazione delle assistenti familiari, le badanti. In gran parte donne che ne sostituiscono altre nel lavoro di cura.
LA CURA DELLE DONNE VERSO LE DONNE: il lavoro di rete. Credo con profonda convinzione che sia questo il momento per ripercorrere quel protagonismo femminile che ci ha portato a conquistare diritti fondamentali (nuovo diritto di famiglia, divorzio, aborto, diritti sul lavoro) anche se mai ancora del tutto al sicuro.
Deve crescere e si deve fortificare la cultura della parità sostanziale, del rispetto della persona, dell’altrui libertà.
Ed è anche ora che siano gli uomini a mettersi in discussione, sono loro gli autori della violenza sulle donne, che assumano la responsabilità di un cambiamento.