La celebrazione della giornata internazionale del contrasto alla violenza contro le donne.
Più o meno in buonafede, sentiremo molte dichiarazioni di impegno a contrastarla. Bene che se ne parli, noi vorremo però che lo si facesse ogni giorno, non solo in occasione del 25 novembre o dell'otto marzo.
La violenza sulle donne e le discriminazioni di genere non sono un'emergenza, fatta di problemi strutturali che si estendono a tutte le popolazioni, culture e classi sociali e coinvolgono tutte le fasce d'età. La violenza di genere non è un fatto privato, anche se è esercitata in famiglia, da un marito, un partner, un fidanzato, un figlio, un padre. Non è un fatto privato quando è subìta nei luoghi di lavoro o in ambienti che dovrebbero garantire cura e protezione, come le Rsa.
È invece una grande questione pubblica, una realtà intollerabile che trova origine nella struttura sociale e nella cultura patriarcale. Attraverso il concetto di famiglia tradizionale, la riproposizione del "destino riproduttivo" e il ruolo di cura assegnato alle donne, alcuni uomini si sentono legittimati ad avere il potere e il controllo sulla famiglia, sulle donne. Non può restare un nostro problema: gli uomini devono assumere consapevolezza e volontà di cambiare i propri comportamenti sociali, mettere in discussione ruoli, linguaggio e mentalità.
È necessario un effettivo percorso educativo e rieducativo che decostruisca la cultura fondata su rapporti di dominio, materiali e simbolici e sulle asimmetrie di potere. Pensiamo si debba intervenire sulla volontà di educare al rispetto delle differenze ben prima che diventino disuguaglianze. Educare i ragazzi e le ragazze sin dall'infanzia a sostenere lo sviluppo di relazioni e sentimenti non violenti.
È necessario agire su più piani, è cruciale la dimensione istituzionale non solo in termini di pena, leggi e processi. Serve un'azione di sensibilizzazione nei confronti di queste tematiche. Vanno superati gli stereotipi sessisti, anche quelli legati all'età delle donne, pur se usati inconsapevolmente nel linguaggio quotidiano che resta macchiato di sessismo come quello della pubblicità e della politica.
È necessario mettere a tema la violenza e gli abusi subìti dalle donne anziane. Basti solo pensare che il 30% dei femminicidi riguarda donne oltre i 65 anni. È però raro che studi o ricerche di genere riportino la correlazione con l'età della vittima. È un limite che va superato perché purtroppo oltre che il genere anche l'età è fattore di rischio. Crediamo che nell'ambito delle politiche di contrasto alle violenze, sia nazionali che regionali, debbano essere promossi interventi specifici: indagini di ascolto, formazione e sensibilizzazione degli operatori sociali e sanitari e del terzo settore, perché è necessario sapere riconoscere gli indicatori della violenza, ancor più quando non lascia segni visibili sul corpo.
Abbiamo pensato di dedicare un messaggio, in occasione di questo 25 novembre, alle donne dell' Afghanistan alle quali, uomini con la maschera dall'integralismo religioso, hanno sottratto diritti e libertà.
È un dovere vigilare, prenderci cura le une delle altre, lottare insieme per i diritti, soprattutto quelli ripetutamente messi in discussione. Un invito a tutte e tutti: partecipate alle tante iniziative che le donne e gli uomini del nostro sindacato hanno organizzato numerose e in moltissime realtà territoriali.
Antonella Cazzato
Segretaria Spi Cgil Puglia